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La voce

del tassobio

Leggende III

Compiano e il prete calvo

Il vescovo lo aveva nominato parroco di Compiano. Si chiamava Don Zani, fresco di ordinazione. Quell’isolamento dal mondo, quella solitudine era una promozione o un castigo? Fin dal seminario don Zani nutriva un forte richiamo per la musica a tal punto che dubitò se proseguire la carriera ecclesiastica o passare al conservatorio. Ne parlò col padre spirituale, e questi gli fece capire che le due cose non erano contraddittorie. Anzi, avrebbe potuto istituire una affiatata Schola cantorum capace di nobilitare la celebrazione delle sacre funzioni.

Ma a Compiano don Zani si dedicò con tutte le forze ad un apostolato proficuo, a tal punto che ben presto la comunità lo considerò "Uno di noi", come dicevano gli uomini. Ma a Compiano non c'era l'harmonium. E Don Zani non tralasciò alcun sacrificio pur di acquistarlo, anche se la sua attenzione era rivolta più alla povera gente che alla musica.

Un giorno capitò in canonica una elegante signora che chiese al sacerdote di ospitare il proprio figlio bisognoso di aria sana e di lezioni di violino. E il sacerdote immaginò per un istante come potevano essere più belle le sacre cerimonie. Ciò però lo distrasse dall'apostolato impegnato che lo distingueva. Quando se ne rese conto sopraggiunsero gli scrupoli. L'applicazione alla musica era una tentazione del diavolo? E una notte...

Stava attraversando il sagrato quando "vide la finestra della sua camera spalancata e un suonatore di violino appoggiato al davanzale". Ma non era l'allievo. Più cercava di inquadrarlo più il volto di quell'individuo si trasformava fino a mostrare sulla fronte le corna e dalla bocca emetteva lingue di fuoco. "Il povero prete agghiacciò di spavento. Ebbe, tuttavia, la forza di farsi il segno della croce e la terrificante visione sparì".

Da allora il sacerdote visse di ossessioni, quasi sempre racchiuso in canonica nonostante l'invito insistente della governante perché si nutrisse e ritornasse ad una vita normale. Una sera, mentre stava seduto vicino al focolare, udì uno straziante grido di donna mentre il temporale infuriava. Credette che si trattasse un'altra volta del demonio. Si portò le mani al capo ma non c'erano più capelli. [Da: LEGGENDE DELL'APPENNINO, di Quinto Veneri, Reggio E. 1962]

La casa del vento

Su una collina che sorge di fronte alla chiesa di Compiano ci sono i resti di una casa. Vi abitava un modesto e onesto lavoratore che non risparmiava sacrifici per mantenere la famiglia. Questa viveva serena fino al giorno in cui il figlio maggiore, Giacomo, se ne andò a Parigi. Qui, con una certa intraprendenza, iniziò ad accumulare denaro, ma ciò gli impedì di essere presente al matrimonio delle sorelle e al funerale della madre. Scoppiò la guerra e Giacomo fu costretto a ritornare a casa per salvare sé stesso e i soldi. A casa trovò solo il padre, stanco e sfinito, che, poco tempo dopo, raggiunse la moglie, e Giacomo si trovò solo. A cosa servivano le ricchezze accumulate? Non avevano più senso.

                                                                          

E anche la speranza di formare una propria famiglia venne sopraffatta dalle paure continue che qualcuno potesse sottrargli i beni accumulati. Anche la notte, nella solitudine, diventava un incubo interminabile. Un'idea strana gli venne in mente: accendere un fioco lumino nella camera e lasciare le imposte socchiuse in modo che la gente, da lontano, immaginasse che lassù vi fossero spiriti d'oltre tomba. E lo stratagemma ottenne l'effetto sperato. Ma dopo un temporale durato diversi giorni le luci scomparvero. E la gente scoprì l'inganno. Da allora gli anziani del luogo sostengono che "la casa che sorge sull'alto del poggio di contro alla chiesa, in mezzo a tanto verde e rallegrata lontano dal biancheggiante greto dell'Enza, non è altro che la casa del vento".

[Da: LEGGENDE DELL'APPENNINO, di Quinto Veneri, Reggio E. 1962]

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